INDRO MONTANELLI, IL POTERE A DISTANZA DI SICUREZZA

DI VIRGINIA MURRU

 

Anche quando avremo messo a posto tutte le regole, ne mancherà sempre una: quella che dall’interno della sua coscienza fa obbligo a ogni cittadino di regolarsi secondo le regole..” (I. Montanelli)

Nel corso di un’intervista lo dichiarò con grande convinzione: ‘nella vita non avrei potuto fare altro che il giornalista..’ E davvero è difficile immaginarlo nelle vesti di un’altra qualunque professione, sembrava naturalmente ‘forgiato’ per raccontare fatti e resoconti secondo il suo personale osservatorio, in assoluta indipendenza, in totale autonomia di pensiero, come dovrebbe essere il giornalista autentico, e non come invece accade nella realtà dei nostri tempi.

Con la sua disarmante schiettezza, seppe tenere lontane le lusinghe del potere, rinunciando anche ad incarichi  importanti, istituzionali, pur di restare un uomo libero, e soprattutto un giornalista non soggetto a vincoli o pressioni che avrebbero condizionato l’esercizio della professione. Ai grandi editori delle testate giornalistiche con le quali aveva collaborato, con diversi ruoli, amava ripetere: – ’lei è il proprietario del giornale, io sono il padrone..’ – sottolineando così la distanza di competenze, e soprattutto l’esigenza di restare il cane sciolto che sentiva d’essere.

 Fedele alle sue opinioni dunque, e  all’informazione, nonostante il Codice di deontologia dei giornalisti risalga al 1998, Montanelli l’etica ce l’aveva nel sangue, in quel suo carattere diretto e aperto, ma rispettoso di chi non condivideva le sue opinioni. Non aveva mai nascosto le sue simpatie per il regime fascista. In una trasmissione televisiva condotta da Bisiach ‘L’ora della verità’ (1972), gli fu chiesto di parlare dei suoi rapporti col fascismo, ed egli, com’era sua abitudine, non celò né rinnegò la condivisione di un ideale giovanile certamente maturato in contesti sociali ben precisi, dove le suggestioni morali e ideologiche avevano spesso ragione dei ragazzi ancora in via di formazione.

Montanelli rispose che certo era stato sensibile  al mito di Mussolini; del resto il modo in cui la vita veniva prospettata nel corso della sua giovinezza era accattivante, e pertanto non rinnegava i suoi vent’anni, ‘stupidi e bellissimi’ allo stesso tempo. Anche nell’essere umano più coerente e inflessibile verso le proprie concezioni, si manifestano nel tempo atteggiamenti che possono sembrare contradditori, nonostante in realtà si tratti dell’irriducibile conferma del proprio modo d’essere.

Il fascismo lo aveva conquistato, ma evidentemente c’erano aspetti del sistema che non poteva condividere, e la prova di questa sua fedeltà furono i reportage di guerra dalla Spagna nel 1936. La sua ironia sull’esito della battaglia di Santander, non piacque al Duce, il quale diede disposizioni affinché fosse cancellato dall’Albo dei giornalisti. Ci fu in seguito anche un processo a suo carico, dal quale si disimpegnò con la solita arguzia, al punto che, ‘il contenzioso’, si fermò in fase istruttoria e non arrivò mai in sede di giudizio.

Questo era Montanelli, libertà d’essere senza sottostare a pressioni di alcun genere, costasse anche il peggio. In definitiva c’erano le simpatie per un regime totalitario e reazionario, ma anche il desiderio insopprimibile di libertà d’espressione. Un’altra prova di questa sua apparente incoerenza con il fascismo, la troviamo nel corso della guerra, quando per assoluta convinzione verso i risvolti rovinosi dell’alleanza con la Germania, aderì dopo l’8 settembre, a ‘Giustizia e Libertà’, un movimento antifascista creato da Rosselli ed Emilio Lussu a Parigi, dopo l’evasione dal  confino al quale erano stati condannati dal regime.

Montanelli, in seguito all’adesione al movimento, diventò un ricercato dei tedeschi, i quali riuscirono in breve a sorprenderlo e a condurlo in carcere, dopo avere emanato nei suoi confronti una sentenza di condanna a morte. Si salvò solo grazie all’intervento di un prelato, importante esponente del clero; poco più tardi evase dal carcere con l’aiuto dei proprietari del “Corriere della Sera’, giornale per il  quale collaborava già da diversi anni.

Il regime, e il conflitto mondiale nel quale venne scaraventato il paese, furono la prova del nove per chi aveva realmente creduto nel fascismo, e per coloro che si erano lasciati affascinare, ma con le opportune riserve, non rinunciando alla libertà di mantenersi in un piano di critica verso il ventennio della dittatura. 

Essere liberi significava non aderire mai totalmente agli ideali altrui, significava non ‘svendere’ mai al ‘migliore offerente’ il proprio credo, anche quando il rischio era quello di finire davanti ad un plotone di esecuzione. Montanelli, come tanti altri che nel corso del conflitto avevano osservato e giudicato il vero volto del fascismo, dimostrò d’essere capace di queste prove.

E’ doveroso dire che, in ogni caso, alla fine della tragedia del grande conflitto mondiale, in Italia anche guerra civile, come uomo e giornalista, non fu mai del tutto assolto dall’opinione pubblica, E davanti ai risultati drammatici e alle responsabilità del duce e i suoi gerarchi, era inutile affermare che egli  si era sempre comportato da uomo libero,  pagandone anche il prezzo in diverse circostanze.. Per anni gli fu puntato l’indice contro, ma fu la coerenza e quel suo singolare e schietto modo di proporsi a riscattarlo.

 In ambito giornalistico raggiunse ogni traguardo possibile, era noto in Italia e all’estero, ottenne prestigiosi riconoscimenti per l’attività svolta, ricoprì cariche di massima importanza diventando direttore di testata, e collaborando a tante iniziative editoriali, pubblicazioni di notevole spessore, come ‘La Storia d’Italia’. Divenne anche membro dell’Accademia della Crusca, e si adoperò per difenderne il ruolo quando questo fu messo in discussione.

Lo spirito libero di Montanelli emerge da tutte le vicissitudini della sua lunga esistenza, egli è infatti scomparso  nel 2001 all’età di 92 anni. Nei suoi articoli era provocatorio, pungente e ironico, ma soprattutto evitava con cura gli orpelli delle convenzioni. La spontaneità e la chiarezza erano peculiarità evidenti del suo carattere, e questo era anche il giornalista che aveva svolto la sua attività in ogni angolo di mondo, in particolare durante gli anni più duri dell’ultima guerra.

Era autentico anche in circostanze informali, per esempio  nel corso di un’intervista a Graziano Mesina, nel 1992, Indro aveva allora 83 anni, ma professionalmente era lucido come sempre. L’incontro con Mesina avvenne in Piemonte, dove l’ex primula rossa del Supramonte scontava la sua pena, in regime di libertà condizionale, dopo 26 anni di carcere, 9 avasioni, 30 tentate evasioni.. Un fenomeno, la bestia nera dei responsabili degli Istituti di pena nei quali veniva trasferito, data la sua inclinazione a sfuggire ai controlli e tentare l’ennesima fuga; una beffa per ogni direttore degli istituti penitenziari in cui veniva tradotto.

Montanelli, tramite un altro giornalista, lo raggiunse dunque in Piemonte, Mesina lo incuriosiva e gli ricordava anche il periodo dell’infanzia trascorso in Sardegna, ben 5 anni a Nuoro insieme al padre, trasferito in qualità di preside al Liceo Asproni, Indro aveva solo 8 anni all’epoca. Nell’intervista, che si impegnò a non pubblicare, emersero anche questi ricordi, che ogni tanto interrompevano gli episodi raccontati da Mesina, tra una fuga rocambolesca e l’altra.. Montanelli lo rassicurava circa la domanda di grazia che egli aveva inoltrato al Presidente della Repubblica, fino ad allora senza esito.

‘Vedrai che se ti comporterai bene, senza altri affronti alla giustizia, arriverà anche la liberazione dall’incubo che stai vivendo..’ E Grazianeddu gli credeva, conoscendo la sua ostinazione e lo stile di quel  carattere deciso, pronto a sfidare ogni ostacolo. Alla fine dell’intervista, nel congedarsi, gli disse che era comprensibile che scalpitasse, non amando il  morso.. ‘Voi sardi siete peggio di noi toscani!’ – ‘Comunque – aggiunse piano – se decidesse di scappare ancora può sempre venire a casa mia!’

E anche qui emerge il Montanelli più autentico, le sue ‘evasioni’ dai conformismi ‘del mestiere’, quel suo sapere andare oltre le misure, se necessario, senza risparmiarsi in slanci e soprattutto senza mettere pastoie allo stile del suo carattere.

In fin dei conti era forse la personalità che lo attraeva in Mesina, allegoricamente egli rappresentava quello che sentiva davvero d’essere stato: fuga continua dalle insidie del potere, disimpegno dai ricatti, condizionamenti. Egli aveva saputo trovare sempre gli strumenti giusti per spezzare quelle sbarre, anche solo accennate, o proposte sotto forma di privilegi o incentivi professionali vari, dei quali non aveva neppure necessità.

La libertà di scrivere e pensare  se l’era sempre guadagnata sul campo, era quel cavallo di razza con i finimenti e la giusta bardatura, che ogni giorno portava con sé, incurante dei giudizi altrui. Così quando gli fu offerta l’opportunità di arruolarsi nelle fila di qualche partito, rispose seccamente no, che non si sarebbe mai messo al servizio della politica. Qualche personalità di spicco gli propose perfino un posto nel proprio mausoleo di famiglia.. Ed egli che diplomatico non era, quella volta se la cavò proprio con la diplomazia, rispondendo con un detto latino che significa ‘non ne sono degno..’

Pronunciò una lunga serie di no, fu corteggiato da tanti, lusingato, tentato, ma egli non si lasciò  mai irretire, proseguì a briglie sciolte, rigettando sempre l’insidia del morso..

E infine rispose no anche al Presidente della Repubblica, che volle nominarlo senatore a vita.. Il potere proprio non si conciliava con la sua indole. Ringraziò, ma rifiutò, senza giustificazioni, non ce n’era bisogno. In un’intervista poi commentò: ‘.. un giornalista, di fronte al potere, è meglio che stia a distanza di sicurezza..’ Finissimo insegnamento, come tutti gli altri che ci ha lasciato.